S.Dmitri Prilutski
Questo padre reverendo e portatore di Dio, il nostro Demetrio, è nato nel nostro paese nella città di Pereslavl da genitori devoti.
S.Dmitri Prilutski
Questo padre reverendo e portatore di Dio, il nostro Demetrio, è nato nel nostro paese nella città di Pereslavl da genitori devoti.
I Santi Tredici Padri Siriani.
Sant’Antonio di Martqopi portava sempre con sé un’icona del Salvatore “non fatta da mani umane” che aveva portato da Edessa in Asia Minore.
S.Avrahamo era succeduto al S.Vescovo Giovanni, morto martire nel 345, sulla cattedra della Diocesi di Arbela in Mesopotamia.
La biografia ufficiale di Massimo risale al X secolo. L’autore ha fonti certe della vita solo dal Concilio Lateranense del 649. Non sappiamo donde egli attinga le notizie precedenti. Egli dichiara che Massimo è di origine nobile, e che ha fatto gli studi propri degli uomini avviati alla carriera sia di corte che ecclesiastica. È stato primo segretario dell’imperatore Eraclio fino al 613/614, per poi entrare nel monastero di Crisopoli, e nel 624/625 in quello di Cizico.[3] Si è inserito nelle discussioni della Chiesa (monofisismo e soprattutto monotelismo e monoergetismo). Fuggito in Africa da Costantinopoli nel 626[3], qui egli visse la vita monastica accanto a Sofronio, futuro patriarca di Gerusalemme, per poi passare momentaneamente a Cartagine.[3] Dall’Africa andò a Roma e partecipò al Concilio lateranense per la condanna del monotelismo, sostenuta dall’imperatore Eraclio.[3]
Nel 626 abbandonò Costantinopoli sotto la minaccia persiana e andò in Africa. A questo punto le due vite si assomigliano. Incontrò Sofronio e da questo momento iniziò la battaglia molto forte contro il monotelismo e il monoenergismo. In questo periodo africano Massimo completò le sue opere spirituali. Dal 641 egli fu molto impegnato nella lotta contro il monotelismo: nel 646 giunse a Roma e partecipò al sinodo romano in cui questa dottrina venne condannata. Ma la corte imperiale aveva emesso un decreto a vantaggio del monotelismo e, di conseguenza, aveva condannato il ditelismo. Per cui, il 17 giugno del 653, il papa Martino e Massimo vennero arrestati e condotti a Costantinopoli, per cui secondo la leggenda gli venne tagliata la lingua e la mano destra.[3] Massimo subì un primo esilio a Bizja in Tracia. Due emissari della corte tentarono inutilmente di ottenere da Massimo una dichiarazione di compromesso. Poi venne esiliato a Lazica, in Armenia, dove morì all’età di 80 anni il 13 agosto 662.[3]
Nel 1973 è stato pubblicato un testodi Giorgio di Reshaina sulla vita siriaca di san Massimo[5]. Questo testo non nutre simpatia per Massimo: l’intento è quello di umiliare il Confessore, cosa che la biografia bizantina evita. Sembrano tuttavia verosimili le notizie che esso ci dà della sua giovinezza. Massimo è nato nel Golan, nel villaggio di Hasfin, da padre samaritano e madre di origine persiana (origine umile). Orfano a 9 anni egli, che si chiamava Moschion, fu presentato dal prete Martyrios all’igumeno (abate) Pantaleone del monastero di San Caritone, detto “la vecchia laura“.
Massimo sarebbe quindi cresciuto nell’ambiente monastico palestinese impregnato dalla conoscenza di Origene e dei padri greci. Egli abbandonò la Palestina nel 614 con l’invasione persiana e, giunto a Costantinopoli, conobbe Anastasio, che diverrà suo compagno inseparabile e suo discepolo; questi conosceva bene l’ambiente di corte, noto anche a Massimo. A Costantinopoli Massimo fu ospite nel monastero di Filippico a Crisopoli.
Il monotelismo si basa sul discorso della volontà. Chi considera l’operazione nel suo termine vede una sola operazione, ma in Cristo l’operazione è duplice perché legata alla sua natura umana e divina. Allo stesso modo lo è la sua volontà. In Gesù sia la natura divina che quella umana rimangono integre nelle loro operazioni.
Pirro, patriarca di Costantinopoli, nella sua disputa con Massimo, attribuisce tutte le sofferenze e la Passione all’umanità del Cristo soltanto, e di conseguenza tutte le operazioni alla sua divinità. Massimo sembra avere tale pensiero in mente quando in questa lettera enfatizza con eccezionale vigore lo scambio di proprietà (communicatio idiomatum), scrivendo:
«Egli opera umanamente ciò che è divino… e divinamente ciò che è umano (Ep. 19-593 A. 2f.)» |
(“San Massimo il confessore”, tradotto ed annotato da P. Sherwood, pag. 5) |
Sergio, patriarca di Costantinopoli, scrive nel suo giudizio: «Alcuni sono scandalizzati perché parlare di un’operazione sembra implicare il rifiuto delle due nature che il nostro Signore possiede – un’obiezione di scarsa rilevanza – dall’altro, molti si scandalizzano perché la frase “due operazioni” non si trova nei padri e implica due distinte volontà nel Nostro Signore».
Massimo venne riportato a Costantinopoli per un ultimo tentativo di riconciliazione davanti al patriarca, perché sembrava che il papa Vitaliano avesse accettato una formula che avvicinasse a Costantinopoli (18 aprile 658). Massimo rispose: «Il Dio dell’universo proclamando Pietro beato perché lo ha confessato come si conviene (Matteo 16,18[6]) ha mostrato che la Chiesa cattolica è la giusta e salvifica confessione di lui medesimo (Cristo).»
Sono le ultime parole di Massimo. Dopo un esilio di altri 4 anni, nel 662, all’età di 82 anni, fu condannato da un sinodo monotelita alla flagellazione, poi gli tagliarono la lingua e la mano destra. Deportato in una località con Anastasio e con un messo papale, il 18 giugno del 662 furono separati e Massimo fu rinchiuso nella fortezza di Schemaris presso Lazica, dove morì il 13 agosto 662. Il Concilio Costantinopolitano III riabilitò la sua persona e dichiarò la dottrina delle due volontà in Cristo come dottrina cattolica.
Nella sua lettera enciclica Spe Salvi (2007), Papa Benedetto XVI ha fatto riferimento a Massimo di Costantinopoli come al ‘grande dottore greco della Chiesa’, sebbene non sia chiaro se, con questa definizione, il pontefice volesse nominare Massimo ‘Dottore della Chiesa’.
La formazione spirituale di san Massimo affonda nell’ampio terreno della cultura greca, da quella filosofica (neoplatonismo, ma soprattutto Aristotele) a quella patristica (i Cappadoci, in particolare Gregorio di Nazianzo). Vi è pure un rapporto con lo pseudo-Dionigi e Origene. L’approccio a Origene viene mediato da un altro grande pensatore che si chiama Evagrio Pontico, una delle grandi menti del cristianesimo antico del IV secolo. Pertanto il rapporto di Massimo con Origene è mediato, oltre che dai Cappadoci, anche da Evagrio.
Queste sono le fonti spirituali: ovviamente sono fonti che sono sotto un certo giudizio ecclesiastico, ma il genio di Massimo e il suo senso ecclesiale gli impediscono di prendere vie laterali del pensiero di Origene quali l’origenismo aveva preso (questo fenomeno sorgerà proprio in Palestina nel IV-V secolo). Massimo rimane in un rapporto forte con Origene, mediato dall’insegnamento essenziale della dottrina cristiana.
Massimo il Greco, oppure Maksim il Greco o Maksim Grek, nato come Mikhail Trivolis (Arta, 1480 – Monastero della Trinità di San Sergio, 21 gennaio 1556.
Biografia
Massimo il Greco fu un importante personaggio del movimento religioso-culturale del XVI secolo, che si distinse per la traduzione delle Sacre Scritture e della letteratura filosofico–teologica in lingua russa, contribuendo a diffondere la cultura bizantina in tutta la Russia.[1]
Massimo il Greco, discendente da una famiglia benestante, era figlio di un ricco dignitario greco di Arta;[2] studiò e si formò a Parigi, Padova, Bologna, Venezia, Firenze, sotto la guida di Andrea Giovanni Lascaris e Marsilio Ficino.[3]
In Italia strinse amicizia con i principali studiosi e umanisti, come Aldo Manuzio, e seguì le prediche del riformatore Girolamo Savonarola,[4] evidenziando interesse per l’umanesimo e per la Chiesa cattolica, ma trasferitosi nel monastero di Vatopedi sul Monte Athos,[4] aderì alla Chiesa ortodossa.[3]
Quando la Chiesa ortodossa russa e il Gran Duca di tutte le Russie Basilio III chiesero al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli un esperto per revisionare i testi sacri russi[4] e per partecipare alle discussioni riguardanti le eresie, Massimo il Greco fu scelto per il compito,[1][2] abbandonando il Monte Athos nel 1516 per arrivare a Mosca agli inizi del 1518.[5]
A Mosca, con la collaborazione dei segretari russi tradusse testi greci canonici, liturgici e teologici in russo ispirando il movimento culturale slavo e gettando le basi per la successiva teologia russa.[1]
Daniele, il nuovo metropolita di Mosca, chiese a Massimo il Greco di tradurre la Storia della Chiesa di Teodoreto di Cirro, ma Massimo il Greco si rifiutò di farla, sottolineando che erano incluse lettere dell’eretico Ario e questo fatto non era positivo per i semi-letterati.[2] Il suo rifiuto provocò una frattura tra Massimo il Greco e il metropolita.[2]
Massimo il Greco nelle sue opere affermò con spirito polemico che la Chiesa dovrebbe praticare la povertà e sospendere lo sfruttamento feudale dei contadini.[1]
Inoltre Massimo il Greco dimostrò grande zelo nell’impegnarsi per il miglioramento morale del popolo russo attraverso i suoi scritti e sermoni, combattendo le superstizioni diffuse tra il popolo in quell’epoca.[5]
Il fervore con il quale eseguì il suo compito lo mise in difficoltà, perché i dibattiti religiosi avevano anche una valenza politica e in un sermone, fondamentalmente allegorico, criticò la situazione contemporanea accusando «le mancanze dei sovrani e dei governi degli ultimi tempi»,[3]con qualche riferimento alle intenzioni di Basilio III di divorziare dalla moglie, a causa della sua infertilità.[2][5][4]
Questo fatto suscitò la contrarietà del Gran Duca di tutte le Russie Basilio III e anche delle autorità ecclesiastiche, a causa di qualche traduzione sospettata di non essere rispettosa della tradizione,[3][5] quindi nel 1525 Massimo il Greco fu arrestato da Daniele, metropolita di Mosca e condannato nel 1531 a venti anni di reclusione nel monastero di Volokolamsk, vicino a Mosca.[1][2][5][4]
Durante la detenzione, Massimo il Greco continuò a lavorare alle opere teologiche e quando fu liberato, nel 1551, il suo prestigio era grande.[1][5]
Lo zar Ivan il Terribile gli rese gli onori pubblicamente, però le opinioni politiche di Massimo il Greco vennero censurate.[1][5]
Durante gli ultimi cinque anni della sua vita, Massimo il Greco si ritirò nel monastero della Trinità di San Sergio, nella città di Sergiev Posad, situato a 71 km a nordest di Mosca, dove fu sepolto e nei secoli venerato come santo.[1][2][5]
Opere principali
NOTE
Bibliografia
(EN) David Arans, A Note on the Lost Library of the Moscow Tsars, in The Journal of Library History, XVIII, n. 3, The University of Texas Press, 1983, pp. 304–316.
Macario il Romano (+ 1550 ) è un santo ortodosso , celebrato principalmente il 15 agosto e incidentalmente il 19 gennaio dalla Chiesa ortodossa .
Storia e tradizione
Nata alla fine del xv ° secolo, a Roma, in una famiglia benestante e pia, il futuro San Macario era uno studente brillante e aspira ad una vita di preghiera. Ma crede che questa vita sia impossibile nella società romana che era caduta nel declino del paganesimo rinascimentale . Vede il declino dell’Occidente cristiano nell’allontanamento dalla tradizione dei Padri della Chiesa e nello scisma tra la Chiesa d’Oriente e d’Occidente nel 1054 . Dopo aver fatto lunghe preghiere, Dio gli rivela che la sua salvezza e la sua santificazione avverranno nella Chiesa ortodossa che ha mantenuto immutabile la tradizione dei Padri della Chiesa .